Il termine “whistleblowing” indica un fenomeno proprio del mondo anglosassone che si è sviluppato nell’ultimo decennio a seguito degli scandali avvenuti nel mondo finanziario.
Questo strumento legale ha il fine di garantire un’informazione tempestiva in merito ad eventuali tipologie di rischio (frodi ai danni o ad opera dell’organizzazione, negligenze, illeciti, minacce, casi di corruzione o concussione).
Quindi, chiunque, internamente o esternamente all’impresa in cui lavora, tenti di portare alla luce una possibile frode, un pericolo o un altro serio rischio che possa danneggiare clienti, colleghi, azionisti, il pubblico o la stessa reputazione dell’impresa, è un whistleblower (“soffiatore nel fischietto”).
Nell’Ordinamento Italiano questo istituto, pur in assenza di una specifica regolamentazione, è recepito nelle policy organizzative di molte aziende appartenenti anche a gruppi multinazionali, che hanno scelto di dotarsi di un modello organizzativo che contempli anche un sistema interno di segnalazione di fatti illeciti, in grado di tutelare il dipendente che li segnali e di proteggere l’impresa dal diffondersi di una cultura della delazione.
Molti paesi (Stati Uniti, Regno Unito, ecc.) hanno adottato leggi che impongono ai datori di lavoro di proteggere i dipendenti che segnalano condotte illecite (c.d. “Whistleblowing”). Inoltre, tutte le “guidance” e “best practice” internazionali raccomandano l’adozione di sistemi di Whistleblowing come essenziale componente di un efficace programma di compliance.